SL7 – La guerra dei pozzi

L’itinerario, tracciato da “Pro Loco Montechino”,  si sviluppa su sentieri, strade forestali e tratti di strada asfaltata, è percorribile in tutti i periodi dell’anno, con lunghezza e dislivelli poco impegnativi, adatto a tutte le persone abituate a camminare in natura e in buona forma fisica. Si tratta di un percorso ad anello che disegna idealmente una specie di 8. Inizia e si conclude al campo sportivo di Montechino, dove è possibile parcheggiare all’esterno della recinzione. A parte la segnaletica dedicata, NON sono presenti altri segnavia di alcun tipo: si prega di quindi di mantenere una buona attenzione alla segnaletica posta dai volontari del Museo della Resistenza, contrassegnata dal simbolo della stella bianca e rossa e dalla sigla SL7. Nei periodi di precipitazioni intense in alcuni tratti del percorso si possono formare depositi fangosi, ai quali occorre prestare attenzione.

È presente un punto acqua presso il cimitero.

Difficoltà
Facile
Livello
Escursionistico
Lunghezza
4,5 km
Durata
1,5 ore al netto delle soste

Inizio/Fine
loc. Montechino di Gropparello (PC)
Dislivello salita
250 m
Dislivello discesa
250 m

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Una storia da vedere e toccare

Il sentiero, realizzato in collaborazione con la Proloco di Montechino, si snoda intorno al paese della Val Riglio e nei boschi che sovrastano l’abitato, disegnando idealmente una forma a 8 prima di ritornare al punto di partenza. Lungo il percorso, che si presenta piuttosto accessibile e di facile percorrenza, è possibile ammirare i resti di alcuni pozzi di petrolio, ai quali è tuttavia necessario prestare attenzione, in quanto si tratta perlopiù di vecchie tubazioni che fuoriescono dal terreno. La partenza è situata in corrispondenza del campo sportivo di Montechino, dove è possibile parcheggiare. Si seguono poi le indicazioni fino a raggiungere un punto panoramico da cui, a picco sulla valle, possiamo ammirare il castello di Montechino, in tutta la sua maestosità. Svoltando a destra su un sentiero che si inoltra nella boscaglia si giunge ad un crocevia dove il sentiero sale verso destra fino a addentrarsi tra le case di Montechino, raggiungendo la strada dove si trova il caratteristico Circolo Anspi, le cui pareti sono ricoperte di fotografie storiche degli impianti estrattivi. Attraversando la strada si trova il monumento ad Ettore Rosso, medaglia d’oro della Resistenza. Si sale quindi a sinistra verso il cimitero, dove è possibile rifornirsi di acqua. Girando intorno al cimitero, si ritorna sul sentiero che si inoltra poi nel bosco per qualche centinaio di metri per giungere poi ad una vasta radura pratosa che si percorre in salita, al culmine della quale si ritorna nel bosco verso destra. Seguendo il percorso e prestando attenzione, si possono notare ampi avvallamenti nel terreno, lasciati dai bombardamenti alleati della primavera 1945. Arrivati ai piedi del Monte Falò, delimitato da una bella staccionata in legno, si prende a destra attraversando una brulla radura contrassegnata da altre due grandi buche nel terreno lasciate dai bombardamenti. Scendendo un ripido sentiero si giunge quindi ad un crocevia dove troviamo un pozzo ben conservato, che possiamo osservare per comprendere meglio le tecniche di costruzione. Si svolta quindi a destra seguendo un bel sentiero nel bosco che sbuca nella radura pratosa incontrata all’inizio della salita, dopo il cimitero. Siamo nel centro del percorso a forma di 8. Si scende a sinistra e quasi subito si svolta nuovamente a sinistra su di un’ampia carrareccia che scende decisa sul fianco della collina, fino ad arrivare in un’area privata, che un tempo ospitava “la forgia”, ovvero i laboratori metallurgici destinati alla produzione delle tubazioni. Si esce dall’area in fondo a sinistra dove si trova una riproduzione in legno di una torre di perforazione, si attraversa la strada e si scende dalla parte opposta raggiungendo velocemente il campo sportivo, punto di partenza.

Pozzi di petrolio, contadini e operai. Il conflitto sociale tra le colline della Val Riglio

All’indomani della Prima Guerra Mondiale, l’Italia è scossa da un conflitto sociale molto duro. Le lotte sindacali, nelle fabbriche delle grandi città e nelle campagne industrializzate della valle del Po, si riaccendono con una forza e una diffusione senza precedenti. L’affacciarsi sulla scena dei primi partiti di massa (Partito socialista e Partito popolare), unito all’esempio della Rivoluzione russa, fanno crescere la volontà di partecipazione alla vita politica. Per molti, il processo di democratizzazione dello Stato italiano, avviato nel 1913 con le prime elezioni a suffragio universale maschile, sembra sul punto di diventare finalmente realtà. La crisi economica post-bellica peggiora le condizioni di vita delle fasce più povere della popolazione e molti giovani, dopo la drammatica esperienza del fronte, non ci stanno ad essere messi da parte, si sentono ingannati, diffidano delle forze politiche liberali. Nelle trincee, si erano diffuse nuove idee di riscossa sociale che molti reduci riportano a casa come un prezioso bagaglio di educazione politica. L’Italia del dopoguerra è pertanto una fucina di idee e tensioni sociali. Tra il 1919 e il 1921 una stagione di lotte operaie e contadine infiamma l’Italia settentrionale in quello che passerà alla storia come Biennio rosso: scioperi, occupazioni delle fabbriche e dei fondi agricoli, aspri scontri tra padroni e operai fanno da cornice a un ribaltamento dei rapporti di forza politici, con l’affermazione del Partito Socialista, che arriva a controllare gran parte dei seggi parlamentari e delle amministrazioni comunali.

Montechino, oggi piccola frazione appoggiata su di una collina verdeggiante che comincia a farsi montagna, è in quel momento un importante centro estrattivo petrolifero e industriale. Qui, dove oggi la natura ha ripreso possesso del territorio, il paesaggio era dominato da centinaia di pozzi, tubazioni che portavano gas e petrolio fino a Fiorenzuola, strade carrozzabili, installazioni per la lavorazione del ferro. Un luogo abitato da centinaia di famiglie operaie, per le quali la dirigenza degli impianti aveva costruito caratteristiche casette in lamiera. In una realtà appenninica dominata dall’agricoltura, Montechino è centro industriale, e con l’industria arrivano ingegneri, tecnici, operai specializzati. I caratteri socioculturali della comunità cambiano radicalmente. Così ricorda la vita a Montechino Alessandra Carini, allora ragazzina: «C’erano tante sale da ballo, c’era un capannone adibito a teatro, che facevano venire le compagnie teatrali, facevano il cinema… c’era vita! Venivano da tutte le parti, dalla città, dai paesini intorno… c’era vita a Montechino, mi ricordo che c’era proprio vita. Un paese che c’erano quattro o cinque osterie, un paese piccolo com’era… c’era proprio vita». Il cambiamento dei rapporti di produzione fa sì nasca tra gli operai una coscienza di classe che farà del paese della Val Riglio il centro che più avanzato delle lotte sindacali del Biennio rosso nel piacentino. I massimi dirigenti del movimento sindacale sono di casa a Gropparello e Montechino. Faggi, Bondioli, Massaroli, Belli, Fornasari, tengono comizi e riunioni anche più di una volta nella stessa settimana, e nel 1919 uno sciopero di più di sessanta giorni porta ai “pozzari” la solidarietà dei lavoratori di tutta la provincia di Piacenza che organizzano raccolte di fondi per sostenere la lotta.

Quando il nascente movimento fascista demolirà una dopo l’altra le conquiste del movimento operaio e contadino, bruciando le case del popolo, allontanando sindaci eletti, picchiando, minacciando e uccidendo dirigenti sindacali, Montechino e Gropparello resteranno un virtuoso esempio di resistenza operaia alle violenze squadriste. Il 24 giugno 1922 “La Voce Proletaria”, organo della Camera del Lavoro di Piacenza, riporta la corrispondenza da Montechino di un anonimo, che si firma “il perforatore” con palese riferimento al lavoro in miniera. Scrive l’operaio: «In questo paese sperduto nella campagna, l’organizzazione operaia è rimasta intatta: la bufera reazionaria non l’ha minimamente toccata. La reazione non ha mancato di attentare alla nostra compagine; più volte ci sono stati tentativi di violenza, intesi a soffocare il nostro movimento. Ma la massa è rimasta ferma, e oggi possiamo dirci orgogliosi della fede incrollabile manifestata dai nostri lavoratori. In alto i cuori tutti, o compagni di Montechino e dintorni, o minatori e petroliferi in genere; riconsacriamo la nostra ardente speranza nel grido fatidico di: – Viva la Camera del Lavoro!».  Una dichiarazione forse troppo entusiasta e speranzosa, che cozza con le cronache allarmate e a volte disperate provenienti dal resto della provincia. Al Biennio rosso segue un Biennio nero di ascesa violenta dello squadrismo fascista che culmina nella Marcia su Roma e nell’instaurazione del regime fascista. A Montechino e in tutta Italia le organizzazioni del movimento operaio vengono sciolte e sostituite dal sindacalismo corporativo fascista, riunendo nelle medesime organizzazioni padroni e operai.

Una lotta per il petrolio. Guerra e Resistenza a Montechino

Nel 1943, quando la guerra arriva alla sua fase più cruenta, l’impianto estrattivo di Montechino diventa un bottino ambito. Nella sete di carburanti, beni contingentati e preziosi, i pozzi fanno della Val Riglio una zona di grande interesse strategico per la Repubblica Sociale e per le forze armate tedesche. E di conseguenza, un obiettivo primario per la Resistenza, che si sta organizzando rapidamente mobilitando i tanti giovani nascosti in montagna per sfuggire ai bandi di chiamata alle armi. L’8 agosto 1944, con una battaglia durata diverse ore, i partigiani di Primo Carini “Pipp”, riescono a liberare Gropparello. Subito bloccano l’afflusso di gas e petrolio verso la pianura, creando non pochi problemi ai contingenti nazisti e fascisti, che si trovano con i serbatoi a secco. In un’economia di guerra, dove l’energia è una fonte di altissimo valore, l’azione del Pipp assesta al nemico un colpo durissimo. Contestualmente, le formazioni partigiane valdardesi dispongono una cintura di distaccamenti armati a protezione della zona. Nel castello di Montechino si installa il distaccamento “Ursus”, guidato da Felice Ziliani, un giovane esponente dell’Azione Cattolica della bassa, che nel dopoguerra sarà la figura di spicco della Democrazia Cristiana e dell’Associazione Partigiani Cristiani. Nella vicina frazione di Gusano, più a valle e più esposta agli attacchi provenienti dalla pianura, si installa invece uno dei distaccamenti più organizzati e operativi, costituito principalmente da giovani di San Giorgio e Pontenure, comandato da Giacomo Callegari di Bramaiano di Bettola. La zona resta sotto il controllo della Resistenza fino all’inverno 44/45, quando il grande rastrellamento invernale spazza via le formazioni partigiane dall’appennino piacentino. Ma è in un momento successivo che la presenza dei pozzi di petrolio condiziona decisamente l’andamento del conflitto. Terminato il rastrellamento, infatti, restano solo le guarnigioni della Guardia Nazionale Repubblicana a difesa dei comuni della montagna. La Resistenza, che nei giorni della disfatta aveva mantenuto i collegamenti grazie alla collaborazione organica della popolazione della montagna, si riorganizza velocemente e attacca i presidi repubblicani per riprendere il controllo del territorio in vista dello scontro finale. Con l’avanzata alleata, l’esito della guerra è ormai deciso. I partigiani riprendono presto mordente e accelerano la discesa a valle. Uno dopo l’altro vengono liberati i comuni dell’appennino, in un’avanzata che appare inarrestabile ma Gropparello appare ancora come una roccaforte ben difesa e difficile da espugnare. Solo dieci giorni di assedio durissimo costringono gli uomini della Gnr asserragliati nel castello ad arrendersi. Ma si tratta di una vittoria effimera. La necessità di controllare i pozzi di Montechino e garantire così l’afflusso di carburante verso la pianura spinge i nazifascisti a compiere uno sforzo militare importantissimo, inviando un contingente del Gruppo corazzato “Leonessa” a rioccupare la zona, insediando il comando proprio nel castello di Montechino, che sovrasta la zona estrattiva. Sono guidati da un ufficiale ricordato per la sua ferocia e spietatezza, il maggiore delle SS Italiane Loffredo Loffredi, studente di Medicina, che nel dopoguerra rimane a lungo latitante. I suoi uomini, a suon di minacce e fucilazioni sommarie, rimangono al loro posto fino agli ultimi giorni del conflitto. La Resistenza, ormai padrona di tutto il territorio circostante, bersaglia incessantemente il presidio e la zona, nei mesi di marzo e aprile 1945, è teatro di quotidiani scontri a fuoco, assalti, imboscate. L’apice del terrore per gli abitanti di Montechino è il giorno di Pasqua quando Loffredi, convinto di essere stato tradito dal parroco del paese, bombarda la chiesa con i fedeli assiepati per la messa. Solo un miracolo, dirà poi la gente del paese, ha evitato una strage. La storia dei pozzi di Montechino finisce in quei giorni. Dove non riesce la Resistenza, che non dispone di armi pesanti, arrivano presto gli Alleati, con una serie di bombardamenti che mettono definitivamente fuori uso le infrastrutture dell’impianto estrattivo. Il petrolio, l’oro nero di Montechino, l’olio di sasso conosciuto già dagli antichi romani, ha rappresentato per questa valle molte cose, sia positive che negative. Ha portato sviluppo, progresso sociale e culturale, consapevolezza politica e sindacale, ma anche un fascismo particolarmente aggressivo per i canoni dei paesi dell’appennino e soprattutto il volto più cruento della guerra. Nel dopoguerra l’industria estrattiva italiana si orienta progressivamente all’estero e molti siti scomodi e poco produttivi vengono abbandonati. Ora la natura si è ripresa il territorio ma numerose tracce di archeologia industriale ci permettono di scorgere ancora in controluce la storia del paese dei pozzi, dei suoi scioperi, delle sue battaglie.

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