SL26 – Trekking urbano della Liberazione

Il trekking si sviluppa su itinerari urbani, attraversando prevalentemente tratti pedonali del centro cittadino. È adatto per tutti i camminatori, anche come uscita didattica breve per gruppi scolastici.

Il percorso si sviluppa ad anello, con partenza e arrivo in corrispondenza del Liceo Respighi, in prossimità del parcheggio Cheope di via IV Novembre. Non c’è una segnaletica dedicata, ma i punti di interesse sono ben indicati e facilmente individuabili.

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Difficoltà
Facile
Livello
Turistico
Lunghezza
6,5 km
Durata
2,5 ore al netto delle soste

Inizio/Fine
Piazzale Genova, Piacenza - Piazzale Genova, Piacenza
Dislivello salita
non significativo
Dislivello discesa
non significativo

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Piacenza liberata

Piacenza è l’ultima città liberata dell’Emilia: qui l’insurrezione non è soltanto discesa a valle delle formazioni. I tedeschi devono controllare il transito sul Po per garantire una ritirata ordinata, e non abbandonano la città senza combattere. La battaglia per la presa di Piacenza dura tre giorni e costa la vita a 41 partigiani.

Il trekking urbano ripercorre i luoghi e le atmosfere di quei giorni crudeli ed esaltanti. Il punto di partenza e di arrivo è Barriera Genova, di fronte al liceo “L.Respighi”, al tempo sede della Gioventù Italiana del Littorio. Qui possiamo osservare l’inizio e la fine della Resistenza. Una lapide, posta sul muro esterno dell’ex ospedale militare ricorda gli scontri del 9 settembre 1943, e i 31 militari caduti per cercare di impedire l’occupazione nazista della città. Dall’altra parte della strada un cippo ricorda cinque giovani partigiani delle Divisione Piacenza caduti venti mesi dopo, alla vigilia della Liberazione. Fanno parte di un piccolo gruppo di coraggiosi che si era spinto in avanti cercando di penetrare in città sfondando le barriere approntate dai tedeschi. A pochi metri di distanza troviamo anche il monumento che commemora i soldati piacentini caduti nell’invasione nazifascista della Russia del 1941. Un’opera che ci permette di viaggiare ulteriormente nel tempo e nello spazio, pensando a come la guerra – portata drammaticamente dal Regime fascista in paesi lontani ‒ ritorni nel giro di pochi anni sul suolo italiano, con il suo pesante carico di morte. Proseguiamo il cammino lungo il Corso Vittorio Emanuele, seguendo i passi dei partigiani della 8a Brigata di Enrico Rancati “Nico”. Diverse fotografie iconiche della Liberazione li ritraggono procedere circospetti, rasenti i muri, tenendo d’occhio le finestre dalle quali gli ultimi cecchini continuavano a sparare. Per infondere coraggio ai suoi, Nico non esita a camminare al centro della strada, a testa alta e senza paura.

Raggiungiamo il Dolmen, scultura realizzata da William Xerra per commemorare tutti i caduti della Resistenza. Inaugurata il 25 aprile 1976, l’opera riprende i megaliti preistorici, luoghi archetipici di sepoltura e culto dei caduti. Percorrendo l’area pedonale del Pubblico Passeggio si giunge a Piazzale Velleia, dove una lapide ricorda due giovani partigiani della Divisione Valdarda, uccisi il 26 aprile 1945. Da San Giorgio, gli uomini della Valdarda erano da poco entrati in città, acquartierandosi alla Baia del Re. Da qui alcune squadre si erano spinte in perlustrazione verso il centro. Carlo Alberici e Renato Gatti vengono sopresi da una pattuglia tedesca nei pressi del vecchio ponte della ferrovia per Bettola e fucilati contro il muro del Maglificio Piacentino, di cui è stato conservato un piccolo pezzo.

Ci spostiamo poi in Piazzale Roma, al monumento alla Lupa.

Il piazzale è il fulcro dei combattimenti per la presa della città: qui vengono piazzate diverse postazioni difensive naziste, per frenare l’arrivo delle colonne alleate da est lungo la via Emilia. La battaglia dura un’intera giornata, e vede impegnate le formazioni della Divisione Valdarda insieme a piccoli contingenti americani e brasiliani che si erano uniti ai partigiani nei pressi di Pontenure. Il fuoco dei cannoni alleati colpisce anche una delle colonne che reggono la Lupa, facendola cadere a terra. È una sorta di emblema del crollo definitivo del fascismo. Il monumento infatti era stato eretto per celebrare la conquista dell’Etiopia e la proclamazione dell’Impero d’Italia, il 9 maggio 1938. La Lupa deve richiamare la fondazione romana di Piacenza in un’operazione propagandistica che lega l’imperialismo e il razzismo fascisti con il mito di Roma. Tra le persone che assistono a questo spettacolare combattimento c’è Italo Croci “Dante”, vicecomandante della 141a Brigata: «Siamo entrati in città da est e abbiamo affrontato diversi combattimenti. Le pallottole fischiavano vicino, si avanzava lentamente. Era un vero inferno. Ma piano piano continuavamo ad avanzare.  Avvicinandoci alla città trovammo il fuoco di sbarramento di una mitragliatrice pesante, che sparava da una postazione in Piazzale Roma, coì abbiamo chiesto agli americani di portare avanti un carro armato e di colpire la postazione. Il primo colpo però ha centrato in pieno la statua della Lupa, tirandola giù. Poi hanno aggiustato il tiro e centrato il bersaglio, e l’avanzata è continuata».

Ci addentriamo poi nel cuore del centro storico, attraversando Piazza Duomo e via XX Settembre, per raggiungere Piazza Cavalli. Qui ripercorriamo le fasi finali della liberazione della città. Mentre gli ultimi contingenti tedeschi e fascisti attraversano il Po e si ritirano verso nord, all’alba di sabato 28 aprile 1945 i partigiani entrano nella città liberata. Nuclei di sappisti avevano già stabilito presidi all’arsenale, alla centrale elettrica, in tutti i punti nevralgici da difendere dall’aggressiva ritirata tedesca. Tutte le formazioni convergono verso il cuore naturale della città. Il campanone di Palazzo Gotico suona a festa, e l’anarchico Emilio Canzi fa il suo ingresso a Palazzo Mercanti, salutando i combattenti dal balcone. Sono momenti elettrizzanti: la città brulica di partigiani armati, che festeggiano con la popolazione, ed affollano gli studi fotografici alla ricerca di un ultimo ritratto in divisa. Le ragazze lanciano fiori, la gente acclama i partigiani offrendo bottiglie di vino. Pochi giorni dopo, il 5 maggio, Piazza Cavalli è il centro della grande sfilata della smobilitazione, in cui i partigiani delle tre Divisioni piacentine sfilano davanti ai comandanti alleati e alla popolazione. Meta finale della sfilata è Piazza Casali, dove i partigiani sono chiamati a posare le armi. Si tratta di un gesto dal profondo significato simbolico, che segna la fine del conflitto e la definitiva presa di distanza dalla guerra e dal fascismo.

Prima di fare ritorno a Barriera Genova ci soffermiamo in Piazza Tempio. Alla presa del palazzo della Prefettura prende parte il partigiano Renato Cravedi “Abele”: «Entrai anch’io nella prefettura, dove trovammo un bel numero di funzionari addormentati. Li facemmo uscire dalle loro stanze con le mani alzate e poi esponemmo dal balcone la bandiera tricolore». Poche ore dopo, la prima riunione dei rappresentanti dei partiti in Prefettura viene interrotta dal fuoco di cecchini appostati sul palazzo di fronte. In diversi punti della città, fascisti isolati sparano sulla folla, seminando il panico. Snidare i franchi tiratori è l’ultima azione dei partigiani, che dopo la smobilitazione fanno ritorno a casa, in un momento atteso ma malinconico. Come ricorda Pippo Panni, comandante della Brigata “Inzani”: «Strette di mano, abbracci commossi, reiterate e reciproche promesse di tenerci sempre in contatto e di volerci bene, come ce n’eravamo voluto nel pericolo, nella fame, nel freddo e nel dolore, si intrecciarono fra richiami, risate, battute. Poi ognuno se ne andò per il proprio destino».

E noi scendiamo al piano col nostro mitra in mano

L’insurrezione generale

L’ultimo atto della Resistenza è la discesa in pianura, e la riconquista di quelle «belle città date al nemico» che i partigiani avevano lasciato per salire in montagna. È il momento dell’insurrezione generale, una sollevazione popolare che vede uniti combattenti, operai e civili in un momento collettivo di riscatto nazionale e di rottura col passato. Alcuni (la Chiesa per prima) guardano con preoccupazione a questa conclusione spettacolare, che rischia di essere disordinata, violenta e addirittura rivoluzionaria. Alla luce delle rassicurazioni ottenute dalla Resistenza, gli Alleati scelgono di sostenere il progetto insurrezionale, che ai loro occhi presenta un’indubbia utilità militare, e aumentano i lanci di armi. Per i partigiani l’insurrezione ha soprattutto un significato politico: afferma davanti al mondo che l’Italia è cambiata, ha preso le distanze dal fascismo, ed è pronta a diventare una democrazia.

Mentre da est e da ovest l’avanzata alleata cinge ormai la Germania in una morsa, il 5 aprile 1945 riprende l’offensiva britannica e statunitense verso la valle del Po, che riesce presto a sfondare quel che resta della Linea Gotica. Le brigate partigiane crescono velocemente, grazie a numerosi arruolamenti di molti giovani confortati dalla prospettiva di una vittoria vicina. Cresce anche la militarizzazione, e i partigiani si dotano di un sistema uniforme di gradi e mostrine, analogo a quello di un vero esercito.

Il 19 aprile viene diffuso il proclama che mette tedeschi e fascisti davanti al celebre aut-aut “Arrendersi o perire!”: l’ultima via di salvezza è consegnare le armi e dichiarare la resa incondizionata. Il 21 il Cln Alta Italia dirama le direttive per l’insurrezione, ed ognuno fa la sua parte. Le squadre di sappisti prendono il controllo delle infrastrutture e bloccano strade e collegamenti telefonici; gli operai occupano le fabbriche; le formazioni partigiane convergono sulla città ingaggiando scontri a fuoco. Ogni città si libera da sola, con le sue forze. Il 26 è la volta di Genova, descritta nella memorialistica come “l’insurrezione perfetta”, dove un intero contingente tedesco si arrende ai partigiani e viene fatto sfilare per le vie della città. Il 28 è la volta di Torino, dove l’insurrezione è annunciata dal celebre messaggio in codice “Aldo dice 26×1”. Il 25 è liberata Milano, capitale simbolica della Resistenza, che segna la data scelta come festa nazionale. In alcuni casi le truppe tedesche abbandonano in maniera incruenta le città, mentre altrove si combatte per giorni. Le formazioni partigiane cercano in ogni modo di ostacolare la ritirata nazista e si cimentano nelle ultime grandi battaglie. La più celebre è quella di Fornovo, dove dopo alcuni giorni di scontri, oltre 15.000 tedeschi si arrendono alle formazioni partigiane parmensi e ai soldati brasiliani della Força Expedicionária Brasileira.

L’ultima parte della lotta di Liberazione non è indolore. Complessivamente, nella fase insurrezionale perdono la vita circa 4.000 partigiani. Nel corso della ritirata, le truppe tedesche compiono alcune sanguinose stragi di civili. Inoltre, nelle città si appostano i cecchini fascisti, che ormai disperati sparano sulla popolazione.

La grande prova che le forze della Resistenza si trovano ad affrontare è poi la tenuta dell’ordine pubblico. Tra il 20 aprile e il 10 maggio si consuma una buona parte dei 9.384 omicidi politici del dopoguerra. Per placare la sete di vendetta accumulata in vent’anni di dittatura i Cln istituiscono ovunque tribunali di guerra, o tribunali del popolo, organismi di giustizia sommaria in grado di evitare scoppi di violenza incontrollata. I comandi partigiani scelgono di disciplinare la violenza anche attraverso alcune condanne esemplari di noti gerarchi.

Nel complesso, le brigate partigiane affrontano l’insurrezione in modo ordinato e responsabile. Riescono a coordinare i combattimenti e difendere industrie, centrali idroelettriche e anche opere d’arte. La resa dei conti con i collaborazionisti di Salò è violenta ma contenuta, e si esaurisce in pochi giorni. Pressoché ovunque gli eserciti alleati che entrano nelle città liberate si trovano davanti una situazione ordinata, con servizi pubblici efficienti. Come scrive Luigi Meneghello: «Ecco, dunque, come finisce una guerra. Prima parte un esercito, poi ne arriva un altro; ma questa non è veramente la fine. La guerra finisce negli animi della gente, in uno un po’ prima, nell’altro un po’ dopo». Per segnare un confine netto tra la guerra e la pace in ogni città vengono organizzate grandi sfilate di smobilitazione. I partigiani percorrono per l’ultima volta le vie della città, ascoltano i discorsi di ringraziamento dei comandi alleati che ne lodano la combattività e ne riconoscono i sacrifici, e posano definitivamente le armi. Pochi giorni dopo la Germania firma la capitolazione, e si chiude la guerra in Europa.

1 commento su “SL26 – Trekking urbano della Liberazione”

  1. Concetta Alberici

    Grazie per questa bellissima iniziativa, non bisogna mai dimenticare che grazie a tutte queste persone siamo liberi da una dittatura feroce e assassina. ORA E SEMPRE RESISTENZA ✊

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