SL18 – Il sentiero del Valoroso

L’itinerario si sviluppa su sentieri, strade forestali e tratti di strada asfaltata, è percorribile in tutti i periodi dell’anno, con lunghezza e dislivelli medi, adatto a tutte le persone abituate a camminare in natura e in buona forma fisica. Si tratta di un percorso ad anello, che inizia e si conclude nei pressi del castello di Monticello di Gazzola (nelle cui vicinanze è possibile parcheggiare lato strada), con una deviazione “andata/ritorno” sul sentiero CAI 205 verso il castello di Monteventano.

Nei periodi di precipitazioni intense (pioggia o neve) in alcuni tratti del percorso si possono formare depositi (fangosi o nevosi), ai quali occorre prestare molta attenzione. Poco dopo la discesa dal castello di Monteventano, sulla via del ritorno, è presente un piccolo guado sul torrente Luretta. Se fosse presente molta acqua si consiglia di usare in alternativa il piccolo ponte presente nel vicino abitato di Calcagni, poco più avanti.

Sono presenti pochi segnavia CAI nel tratto di sentiero che dalla strada di fondovalle sale al castello di Monteventano (sentiero 205) e alcune indicazioni che interessano il cammino di San Colombano: si prega di quindi di mantenere una buona attenzione alla caratteristica segnaletica a stella con fondo bianco e bordo rosso del Museo della Resistenza Piacentina.

Relativamente ai punti acqua, è presente una sola fontana che funziona in modo continuativo nel corso dell’anno, quella posta appena sotto il monumento al Valoroso, alla partenza dell’itinerario a Monticello.

Difficoltà
Medio
Livello
Escursionistico
Lunghezza
7 km
Durata
2,5 ore al netto delle soste

Inizio/Fine
Monticello di Gazzola (PC) - Monticello di Gazzola (PC)
Dislivello salita
350 m
Dislivello discesa
350 m

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Ai piedi del Valoroso

Se c’è un termine per definire questo percorso di history trekking è contrasto. Il contrasto tra il paesaggio morbido e confortevole delle dolci colline, dei prati e dei boschi da cui spuntano castelli medievali, e la suggestione di trovarsi in quello che fu uno dei più cruenti campi di battaglia della Seconda guerra mondiale nel nostro territorio. Il percorso ad anello parte dal luogo che sarà l’epilogo di questa vicenda, il castello di Monticello, teatro dello scontro, dove sorge il monumento al “Valoroso”. Si scende lungo lo stradello a fianco della fontana verso il fondo valle, costeggiando il cippo che ricorda il sacrificio di Gino Cerri, Commissario della 7aBrigata, caduto nella battaglia. Dopo aver attraversato un piccolo gruppo di case si tiene la sinistra al bivio e si scende fino a sbucare sulla strada asfaltata che ci condurrà verso il fondovalle. Superato il ponticello sul torrente Luretta, si incontra sulla destra un ampio spiazzo con una struttura coperta, mentre sulla sinistra sale nel bosco il sentiero CAI 205 che ci condurrà al Castello di Monteventano. Qui, dopo aver ammirato il ben conservato maniero medievale e il cippo che ricorda che fu sede durante la Resistenza del “Distaccamento autonomo di Monteventano”, si può alzare lo sguardo verso la collina dall’altra parte della valle, da dove siamo partiti. Ora davvero si può immaginare il “Valoroso”, che nella notte sente il boato dei mitragliatori e dei colpi di artiglieria che bersagliano i suoi compagni asserragliati nel castello di Monticello e corre ad osservare i traccianti e il fuoco delle bombe incendiarie. Deve essere stato uno spettacolo impressionante, eppure quel ragazzo di 25 anni non esita, e si getta con i suoi uomini in un’impresa disperata. Sono i suoi passi che ripercorriamo, scendendo dallo stesso sentiero CAI 205 fino alla strada di fondovalle per poi riprendere l’anello e girare a sinistra seguendo la caratteristica segnaletica a stella con fondo bianco e bordo rosso del Museo della Resistenza Piacentina, che ci accompagnerà nella risalita tra campi, cascine e ruderi abbandonati, fino a tornare al castello di Monticello.

Gli eroi son tutti giovani e belli

La statua del Valoroso

Il fulcro ideale del sentiero che ci apprestiamo a percorrere è la statua del partigiano Valoroso, che vale la pena fermarsi ad osservare con attenzione. Potremmo infatti pensare che statue come questa siano comuni in tutta Italia, e che dovunque sia morto un partigiano sorga oggi una scultura che ce lo mostra proprio come era in carne ed ossa, con il sorriso ed il fucile in spalla. Invece non è così, e le statue dei partigiani piacentini rappresentano un caso raro, da conoscere e studiare. Non appena posate le armi i resistenti iniziano a pensare a come commemorare degnamente i propri compagni caduti. Sulle montagne sorgono tanti cippi e lapidi. Più raramente vengono scolpite statue, ma si tratta in genere di personaggi trasfigurati e rappresentazioni simboliche, che riprendono iconografie precedenti, come quella del martire o del milite ignoto. Questo perché i partigiani sentono di appartenere ad un movimento collettivo, un esercito democratico dove tutti sono uguali, e non vogliono incentivare personalismi o culti della personalità. A Piacenza invece, i partigiani decidono di commissionare le statue dei loro eroi caduti a un’artista di valore, che compie una scelta controcorrente. Si chiama Secondo Tizzoni, è da poco diplomato all’Accademia di Brera, e di lui ci si può fidare. È infatti fratello di un’importante partigiana, Bruna, agente dell’intelligence e collaboratrice del democristiano Francesco Daveri.  Tizzoni scolpisce il Valoroso nelle sue fattezze reali, con i pantaloni corti, gli scarponi e lo sten, proprio come appare nelle poche fotografie scattate nei mesi della Resistenza. La stessa fedeltà alla fisionomia e al carattere della persona che ritroviamo nella statua di Emilio Canzi a Peli di Coli, opera dello stesso artista.

Il Monticello di Gazzola è il luogo di una delle prime commemorazioni partigiane. Il 16 aprile 1946, nel primo anniversario della battaglia, viene organizzata una grande manifestazione. La bara del Valoroso viene esumata dal cimitero di Piozzano, issata su un fusto di cannone e portata in processione per le vie di Piacenza, fino a Monticelli d’Ongina, paese natale del partigiano. L’anno successivo, davanti a una folla immensa, viene inaugurata la statua che vediamo. I giornali scrivono: «Non era più che un ragazzo, un minuscolo ragazzo tutto nervi ed energia, che aveva tre grandi passioni: i motori, le armi e la musica. Il suo vero nome era Lino Vescovi: un piccolo italiano qualsiasi che in epoche normali non sarebbe stato forse altro che un buon meccanico specializzato. Oggi è il Valoroso, simbolo di un’idea e materia di una leggenda per quelli che verranno».

Anno dopo anno, la storia del Valoroso e della battaglia del Monticello continuano ad attirare persone che non vogliono dimenticare quei fatti. Negli anni Settanta, i giovani del Comitato Antifascista Militante (Cam) cercano nuovi modi di raccontare la storia della Resistenza. Vengono organizzate le prime pedalate antifasciste, da Piacenza a Monticello, e tanti ragazzi e ragazze siedono ai piedi della statua per ascoltare la voce dei partigiani. È un incontro tra generazioni importante, che tiene vive storie che altrimenti si sarebbero perse.

Il Monticello è insomma un luogo di memoria “naturale”, nato dall’affetto popolare per il Valoroso, e la statua continua a essere meta di pellegrinaggi. Forse anche grazie alla scelta dello scultore, che ha saputo fissare nel bronzo la personalità di questo giovane comandante partigiano, e ci fa sentire come se fosse ancora qui in carne ed ossa.

Gli ultimi spari

La battaglia che si combatte a Monticello di Gazzola è l’ultimo grande scontro tra fascisti e partigiani prima della presa di Piacenza. È la notte tra 15 e 16 aprile 1945, e nell’antico castello medievale sono stanziati 30 partigiani appartenenti alla 7a Brigata, guidati da Gino Cerri e Cesare Annoni “Barba Secondo”, e all’11a Brigata al comando di Ludovico Muratori “Muro”. A sorpresa si trovano accerchiati da numerosi contingenti delle SS Italiane e della Brigata Nera, che gli intimano di arrendersi. La risposta è il lancio dalle finestre del castello di due bombe anticarro: inizia un furioso combattimento. Per tutta la notte i partigiani asserragliati nel castello resistono agli spari e alle bombe, ma sembrano ormai sul punto di soccombere ai nemici. Colpiti dai proiettili incendiari, i fienili ai lati del castello prendono fuoco e sembra solo questione di tempo prima della capitolazione. Ma alle richieste di resa diffuse dai fascisti tramite un megafono, Barba risponde: «Gli alpini della Settima non si arrendono mai!». Ben armati, i partigiani tirano bombe a mano sui nemici che cercano di entrare nel castello.

Alle prime luci dell’alba arriva un aiuto provvidenziale e atteso. Dal castello di Monteventano, gli uomini della 9a Brigata di Lino Vescovi “Valoroso” arrivano a dare manforte agli assediati. Valoroso sa probabilmente che si tratta di un’impresa rischiosa, ma non vuole lasciare soli i compagni. Vescovi è un uomo di parola, e pochi giorni prima ‒ notati alcuni movimenti sospetti di truppe fasciste in Val Luretta ‒ aveva giurato solennemente a Gino e al Barba di intervenire prontamente in caso di attacco. Presto, arriva anche un distaccamento di partigiani della 3a Brigata dislocati sulla Pietra Parcellara che avevano udito i boati della battaglia e non si erano tirati indietro. Sono in realtà pochi uomini ma colgono alle spalle i nemici, che si sentono accerchiati e iniziano a ritirarsi, allentando la morsa sui partigiani bloccati tra le antiche mura. Gino Cerri riesce a uscire dal castello, e abbraccia il Valoroso dicendo: «L’abbiamo vinta una battaglia!». Ma i combattimenti non sono cessati del tutto. Intorno alle 10 Valoroso è colpito da due raffiche di mitra, e muore poche ore dopo. Anche Gino Cerri muore, vittima dello sparo a sorpresa di un uomo armato nascosto in una scarpata. Poco dopo, cessano gli spari. I fascisti fuggono verso Piacenza, e i feriti vengono trasportati a Rivergaro con dei carri dai contadini della zona. La vittoria conquistata in battaglia, contro nemici numerosi e organizzati, rinfranca ed esalta le formazioni partigiane, che pochi giorni dopo scendono in città per l’insurrezione finale.

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