SL12 – Il sentiero dei ribelli Un’avventura sulle tracce dei partigiani

L’itinerario si sviluppa su sentieri, strade forestali e brevi tratti di strada asfaltata, è percorribile in tutti i periodi dell’anno, con lunghezza e dislivelli medi, adatto a tutte le persone abituate a camminare in natura e in buona forma fisica. Nei periodi di precipitazioni intense (pioggia o neve) in alcuni tratti del percorso si possono formare depositi (fangosi o nevosi), ai quali occorre prestare molta attenzione. Si tratta di un percorso ad anello, che inizia e si conclude nei pressi della Chiesa parrocchiale di S. Medardo M. di Peli di Coli (dove è possibile parcheggiare). Per tutto l’itinerario il riferimento principale è la segnaletica posta dai volontari del Museo della Resistenza, contrassegnata da una stella con fondo bianco e bordo rosso. Nel tratto che intercorre tra la vicina chiesetta di S. Rocco e fin dopo l’abitato di Pescina si possono scorgere anche i segnavia della Via degli Abati e del Sentiero dei Celti e dei Liguri.

Non sono presenti punti acqua lungo l’itinerario, si consiglia di fare rifornimento prima di partire.

Difficoltà
Facile
Livello
Escursionistico
Lunghezza
5 Km
Durata
1,5 ore al netto delle soste

Inizio/Fine
Chiesa di Peli - Coli (PC)
Dislivello salita
250 m
Dislivello discesa
250 m

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Peli è la casa dei ribelli, la prima base operativa dei partigiani piacentini. È il luogo ideale per nascondersi. La strada per arrivare è lunga e impervia e da quassù, guardandosi intorno, è possibile tenere d’occhio sia la val Trebbia che la val Nure. Proprio per questo, durante la Seconda guerra mondiale, uomini e donne che volevano combattere per la pace e la libertà scelsero di salire su queste montagne. Ormai da vent’anni l’Italia era una dittatura fascista comandata da Benito Mussolini, il Duce. Chiunque non era d’accordo con le idee fasciste veniva picchiato, ucciso o messo in carcere. Molti erano stati costretti a scappare e rifugiarsi in Francia o in Belgio. Altri erano stati mandati al confino, costretti a vivere lontano da casa, in isole come Ventotene o Ponza, dalle quali era impossibile scappare. Dire, scrivere, proclamare cose che ai fascisti non piacevano era davvero pericoloso, molti avevano paura e preferivano stare zitti. Nel 1940 Mussolini aveva deciso di scatenare una grande guerra insieme alla Germania, anch’essa guidata da una dittatura, il nazismo di Adolf Hitler. Davanti all’assurdità della guerra molte persone iniziarono a capire che le idee fasciste e naziste erano sbagliate e iniziarono a sognare un mondo diverso, di pace, di democrazia e di uguaglianza. Si ribellarono al Duce e salirono in montagna, respirando per la prima volta a pieni polmoni l’aria della libertà. Per questo vennero chiamati ribelli, o partigiani. Oggi, a Peli, tante tracce sul territorio ci parlano della loro storia. Se tieni gli occhi aperti potrai trovare molti indizi. Già nel piazzale del parcheggio, sulla facciata della chiesa di San Medardo possiamo trovare una lapide. Si tratta del monumento che ricorda don Giovanni Bruschi, il parroco di Peli. Nel settembre 1943 il sacerdote aprì le porte della sua canonica, accogliendo i primi ribelli. Così la chiesa divenne la base dei partigiani dove venivano portate armi e munizioni: un nascondiglio insospettabile agli occhi dei nazisti e dei fascisti. Per il suo coraggio don Giovanni fu nominato cappellano capo di tutta la provincia di Piacenza, che i partigiani iniziarono a chiamare tredicesima zona, per non farsi capire dai nemici. Cucirono anche di nascosto una bandiera, come quella italiana.

Ora ci avventuriamo lungo uno dei sentieri percorsi dai ribelli. Attraverseremo diversi piccoli paesi che sono rimasti pressoché uguali a come erano negli anni Quaranta. Ci fermiamo a Cornaro. Qui abitavano famiglie di contadini che aiutavano i partigiani, dando loro qualcosa da mangiare, ospitandoli nelle notti più fredde, avvisandoli quando i nemici erano vicini. Per questo, le truppe naziste e fasciste fecero diversi rastrellamenti a Peli e nel 1944 diedero anche fuoco ad alcune case. Ma era inutile, sempre più persone salivano in montagna per combattere per la libertà… Proseguendo il sentiero raggiungiamo un grande prato. Se ci guardiamo intorno possiamo vedere il Monte Aserei, che riconosciamo perché la sua cima è ricoperta di alberi scuri. Sopra di noi, anche se non lo vediamo, c’è anche un grande altipiano dal curioso nome di Sella dei Generali. Forse per la sua posizione, proprio a cavallo delle valli, o forse per la sua forma, di valico a forma di lieve insenatura. In queste zone passava spesso Emilio Canzi, che era stato nominato Comandante Unico di tutti i partigiani piacentini. Canzi era rispettato e aveva molta esperienza come combattente perché aveva già lottato contro il fascismo. Tuttavia, quando arrivò a Peli non conosceva i sentieri di montagna. Ad aiutarlo fu il contadino Alberto Grassi, che diventò la sua guida. Spesso i due partigiani attraversavano questi prati con un piccolo carretto pieno di fucili, da nascondere nella chiesa. Di solito stavano in silenzio, assaporando la libertà e la solitudine della montagna, pensando a come sarebbe stato il mondo alla fine della guerra. Oggi come allora la vegetazione è bassa e poco fitta. Se ci guardiamo intorno non vediamo alberi ma solo arbusti e magari qualche animale al pascolo. Nel corso del tragitto cerca e raccogli le foglie di almeno tre cespugli diversi. Una volta seccate saranno segnalibri perfetti per la tua guida, e ti ricorderanno questa passeggiata. Ritornando verso Peli incontriamo un piccolo cimitero. Riuscite a trovare la tomba di Emilio Canzi? Il comandante partigiano chiese di essere sepolto proprio qui, nei luoghi dove aveva vissuto i mesi della Resistenza, vicino alle persone che lo avevano aiutato e gli volevano bene. In segno di stima e di rispetto, il giorno del suo funerale vennero chiusi i negozi e le scuole in tutta la provincia e tantissime persone seguirono il corteo funebre da Piacenza a Peli. La lapide racconta la storia della vita avventurosa di Emilio Canzi e chiede a tutti quelli che passano di ascoltare la voce che si alza dalla tomba.

E tu riesci a sentire e osservare bene? Prova a completare le parole mancanti.

Ora andiamo nel piazzale di Peli. Qui troviamo le tracce più importanti del passaggio dei partigiani. Sulla chiesa c’è un’altra lapide. Sopra sono incisi i nomi di quattro uomini coraggiosi che decisero per primi di opporsi al fascismo. Erano persone molto diverse, con idee differenti. Tuttavia, misero da parte le cose sulle quali erano in disaccordo e fecero un patto. Giurarono di combattere fino alla fine contro fascisti e tedeschi, per poi ripristinare la democrazia. Solo allora avrebbero discusso tra loro, lealmente e pacificamente, decidendo insieme cosa fosse meglio fare per il bene dell’Italia. I partiti a cui appartenevano erano quelli che Mussolini aveva messo fuori legge perché l’unico partito ammesso era quello fascista. Sono partiti che oggi non esistono più, ma che sono stati importantissimi, perché sono stati protagonisti della stesura della Costituzione italiana. Francesco Daveri era un avvocato del partito della Democrazia Cristiana, Paolo Bellizzi un falegname appartenente al Partito Comunista, Mario Minoia un medico del Partito Socialista. Emilio Canzi invece era un anarchico, credeva cioè che la libertà fosse il bene più prezioso, e che ogni uomo dovesse discutere e decidere, insieme agli altri, le regole per la comunità, senza aspettare che fossero i governi a fissarle dall’alto. Nel luglio 1943 questi uomini sfidarono la dittatura, cominciando a riunirsi clandestinamente e dando vita al C.L.N. il Comitato di Liberazione Nazionale. Finalmente possiamo ammirare la statua di Emilio Canzi. È una statua speciale. Se la osserviamo ci sembra che il comandante partigiano sia proprio qui, pronto a rimettersi in cammino.

La storia di Canzi è eccezionale. Era nato a Piacenza nel 1893, in Cantone Camicia, proprio dietro il liceo Gioia. Rimasto orfano di madre da piccolo, aveva cominciato a lavorare come commesso, ma nel 1915 era stato chiamato a combattere nella Prima guerra mondiale. La vita nelle trincee era difficile e rischiosa e Canzi era tornato a casa nel 1918 coltivando il sogno che non ci fossero più guerre. Quando il fascismo aveva preso il potere, il giovane Emilio era dovuto scappare in Francia per non essere arrestato o ucciso. Sfortunatamente era stato catturato e mandato al confino a Ventotene, dove aveva conosciuto altri antifascisti, come il socialista Sandro Pertini, che molti anni dopo sarebbe diventato Presidente della Repubblica. Nel settembre 1943 Emilio Canzi riesce finalmente a raggiungere Peli, dove inizia a combattere contro i fascisti armato solo del suo piccolo fucile, uno sten, e della forza delle sue idee. Furono venti mesi lunghissimi, di stenti e di patimenti, come recita un famoso canto partigiano. A causa del freddo, Canzi si ammalò di polmonite, e sarebbe morto senza le cure dei contadini dei Peli, che lo nascosero in una stalla. Il 28 aprile 1945, alla liberazione di Piacenza, Canzi parlò a tutti i partigiani riuniti in Piazza Cavalli dal balcone del Palazzo del Governatore. Fu una giornata di festa immensa. La guerra era finita e la Resistenza aveva vinto. Tutti erano liberi di parlare, di dire ad alta voce le proprie idee, di votare chi volevano.

Ora sai la storia dei ribelli di Peli. Puoi sederti al tavolo da pic-nic nel piazzale e riposarti. Respira forte l’aria pura di montagna e pensa alla libertà. Scrivi tre cose che, grazie alle partigiane e ai partigiani, sei libero/a di fare.

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