Il trekking si sviluppa su itinerari urbani, attraversando prevalentemente tratti pedonali del centro cittadino. È adatto per tutti i camminatori, anche come uscita didattica breve per gruppi scolastici. Il percorso parte da Cantone della Camicia, in prossimità del parcheggio di Piazza Cittadella, e si conclude in Barriera Torino. Non c’è una segnaletica dedicata, ma i punti di interesse sono ben indicati e facilmente individuabili.
Difficoltà Facile Livello Turistico Lunghezza 5 km Durata 1,5 ore al netto delle soste
Inizio/Fine Parcheggio Via 21 aprile, Piacenza Dislivello salita non significativo Dislivello discesa non significativo
Sulle barricate. La lunga strada degli Arditi del popolo
Il “Trekking urbano degli Arditi del popolo” si snoda tra le vie della parte “bassa” della città, quella che idealmente scende verso il Po. Il punto di partenza e di arrivo del percorso ad anello è il parcheggio di Via XXI Aprile. Da lì ci si incammina sul viale alberato di Via Tramello, costeggiando le mura cinquecentesche verso Piazzale Milano. Risalendo verso il centro della città su Viale Risorgimento incontriamo presto, sulla sinistra, la deviazione che ci porta al primo dei cinque punti d’interesse del percorso, segnalati da una targa che riporta un codice QR che permette di accedere al sito internet del progetto “Sentieri della libertà” e ai relativi contenuti multimediali. Si tratta della “Casa natale di Emilio Canzi”, in Via Camicia 6. In questa casa, nel quartiere popolare di Sant’Agnese, il 14 marzo 1893 nasce Emilio Canzi, futuro Comandante Unico dei partigiani piacentini. Ritornando sul percorso e proseguendo verso il centro, si giunge al semaforo dove si svolta a destra su Via Borghetto, incontrando presto, al numero 15, il secondo punto l’interesse, l’edificio che ospitava la “Prima Camera del Lavoro”. Qui, il 20 settembre 1891 si inaugura la Borsa del lavoro di Piacenza, salutata dalla stampa locale come «la prima nata sotto i cieli d’Italia.
Si prosegue il percorso lungo Via Borghetto fino ad incrociare sulla sinistra Via San Tomaso, la si risale fino all’incrocio con Via Mazzini. Qui, alla nostra destra, il terzo punto d’interesse. Al vertice della scalinata della ‘Muntà di Ratt’, si trova infatti il monumento ai volontari antifascisti piacentini nella Guerra civile spagnola, che tra il 1936 e il 1939 tentano di difendere la Repubblica dal colpo di stato militare del generale Francisco Franco. Realizzato dallo scultore Giuseppe Tirelli, il monumento che rappresenta una figura femminile che cavalca un toro, è stato inaugurato nell’ottantesimo anniversario della nascita delle Brigate Internazionali.
A questo punto si scende la scalinata e si prosegue su Via Mazzini e oltre, lungo Via Cantarana. Qui si trova il quarto punto d’interesse del percorso, quello dedicato al
“Battaglione Cantarana”. Possiamo ancora vedere alcuni resti delle vecchie case del quartiere Cantarana. Quartiere operaio, centro della conflittualità antifascista, Cantarana è la base del più nutrito squadrone di Arditi del popolo piacentini, per lo più giovani operai della zona. Proprio per questa sua vocazione ribelle, il ‘quartiere rosso’ viene abbattuto dal Regime fascista che, nel 1939, intende ‘risanarlo’ facendone un quartiere di edilizia popolare modello intitolandolo a Costanzo Ciano, presidente della Camera dei Fasci e delle Corporazioni. Ed è proprio svoltando a sinistra da Via Cantarana e risalendo Via Santo Sepolcro che possiamo infatti notare il tipico stile costruttivo fascista. Si prosegue fino ad attraversare Via Campagna e ci si ritrova nel sagrato della basilica del Santo Sepolcro e si prosegue nel vicolo di Cantone S. Nazzaro, percorso il quale si giunge in Via Taverna. Si svolta a destra e si risale la via verso Barriera Torino. Al numero 137 incontriamo l’ultimo punto d’interesse del percorso, la lapide in ricordo di Gaetano Lupi, collocata nella storica cooperativa di consumo di Via Taverna, noto luogo di ritrovo e di socialità operaia.
Il cammino è terminato, e uscendo all’esterno della Cooperativa “Gaetano Lupi” ci ritroviamo nella caotica realtà odierna del centro città. E non ci resta che riflettere, concludendo il nostro percorso, su questi primi resistenti, che un secolo fa iniziarono una
lotta mai terminata. La lotta per la libertà. E per la giustizia sociale.
Se anche stanotte durasse cent’anni, staremo in piedi abbracciandoci a un sogno.
Il 6 luglio 1921, all’Orto botanico di Roma, si tiene una grande manifestazione antifascista, alla quale prendono parte decine di migliaia di uomini e donne. A prendere la parola esponenti comunisti, socialisti, repubblicani e libertari, per denunciare le violenze fasciste e le complicità governative. Ad un certo punto, l’attenzione di tutti viene catturata dall’arrivo di un migliaio di uomini che marciano con passo militare, portando in spalla bastoni e randelli. Sono gli Arditi del popolo, guidati da Argo Secondari, odontotecnico e reduce del primo conflitto mondiale, la cui idea è quella di rispondere con la violenza alle aggressioni organizzate dagli squadristi. Il nome dell’organizzazione si rifà all’esperienza degli arditi della Prima guerra, nuclei scelti ‒ composti da soldati agguerriti e un po’ ribelli ‒ in grado di compiere incursioni audaci e spericolate. Alla fine dell’estate gli Arditi, organizzati il 144 sezioni, sono 20 mila, per lo più ferrovieri, metalmeccanici, braccianti agricoli, portuali, edili, postelegrafonici e tranvieri, che si organizzano per rispondere in armi alle incursioni fasciste nei quartieri popolari e nelle case del popolo. In realtà però, gli Arditi hanno vita breve. Il 3 agosto 1921 i socialisti firmano il ‘patto di pacificazione’ con Mussolini nella speranza di fare cessare le violenze e trovare una soluzione pacifica. Anche comunisti e repubblicani prendono le distanze dagli Arditi, preferendo costituire squadre armate di partito. Gli unici sovversivi che continuano a sostenere apertamente l’arditismo popolare sono anarchici e libertari, fautori della strategia di un fronte unico contro il fascismo. Il disconoscimento trasversale dell’organizzazione permette al governo Bonomi di scatenare una durissima repressione contro gli Arditi, privi di appoggi e protezioni istituzionali. Come se non bastasse, il patto di pacificazione non riesce a fermare la violenza fascista. I violenti ras di provincia rifiutano infatti di accettare qualsiasi possibile convivenza “parlamentare” con le sinistre, e intensificano le azioni. L’ultima battaglia si gioca in occasione dello ‘sciopero legalitario’ indetto dai sindacati per la fine di luglio 1922, come protesta contro la protratta illegalità armata del fascismo. La risposta non si fa attendere. I fascisti danno un ultimatum al governo, chiedendo di impedire la mobilitazione operaia, e poi entrano in azione per fermare lo sciopero. In tutte le città si combatte una vera e propria guerra tra scioperanti e squadre fasciste, che quasi ovunque hanno la meglio, anche grazie all’appoggio delle forze dell’ordine. Entrano nella memoria popolare i pochi casi in cui gli Arditi del popolo riescono a fermare l’avanzata. Nei quartieri popolari di Parma (al comando di Guido Picelli), Bari (dove opera Giuseppe di Vittorio), Civitavecchia, lavoratori, giovani, vecchi, donne, si stringono agli Arditi, organizzano la difesa armata, scendono in strada e prendono parte alla guerriglia, salgono sui tetti e lanciano tegole sugli aggressori.
Si tratta di episodi gloriosi ma isolati. Complessivamente, la sconfitta dello sciopero legalitario rappresenta l’ultima sconfitta del movimento operaio. Davanti agli occhi dell’opinione pubblica borghese, i fascisti si presentano come l’unico partito in grado di stroncare gli scioperi. Pochi mesi dopo la Marcia su Roma segna l’inizio della definitiva deriva totalitaria. Gli Arditi si disperdono, molti abbandonano la lotta, altri riparano all’estero e sono i primi ad accorrere nelle fila antifranchiste in Spagna. Vent’anni dopo la sconfitta del 1922, all’inizio della Resistenza, diversi arditi del popolo metteranno la loro esperienza politica e militare al servizio delle nuove generazioni antifasciste, diventando ‒come Emilio Canzi, Giuseppe di Vittorio, Ilio Barontini e Antonio Cieri ‒ comandanti partigiani o commissari delle formazioni della montagna.
Il battaglione Cantarana. Donne e uomini nell’arditismo piacentino
Piacenza 1921-22. Mentre in città e nelle campagne spadroneggiano le squadre fasciste del ras Bernardo Barbiellini Amidei, non pochi piacentini scelgono di reagire alle violenze. Nel centro cittadino, le roccaforti antifasciste sono i quartieri popolari di Barriera Cavallotti (oggi via Roma) e Cantarana, il ‘rione rosso’, dove si trova la cooperativa di consumo di via Taverna, luogo di ritrovo di lavoratori e meta abituale delle azioni squadriste. Il 24 maggio 1921 l’inaugurazione del gagliardetto del Fascio di Piacenza è l’occasione per una serie di provocazioni che attraversano il centro. Quel giorno però operai e operaie rispondono. Protagoniste sono le donne, che partono in corteo, e attraversano la città cantando “Bandiera Rossa”. La sommossa viene sedata solo grazie all’arrivo di un contingente di polizia armato di mitragliatrice, che lascia segni visibili sulle facciate delle abitazioni di Via Taverna. Alcuni mesi dopo nasce il Battaglione Cantarana. Il gruppo fa la sua prima uscita pubblica il 7 agosto 1921 quando circa 300 arditi marciano per le vie del centro, con l’intento di presidiare una manifestazione di cattolici popolari. Nella stessa giornata entrano in azione anche i battaglioni di Rustigazzo e Vicobarone: una cinquantina di Arditi si dirigono, bandiera nera in testa, verso la casa del fascio, gridando «morte ai fascisti». I fascisti però sparano e feriscono Lena Zanardi, di 19 anni, e Primo Simonetta, di 18 anni, che muore il giorno seguente. Subito però le sinistre piacentine (ad esclusione degli anarchici guidati da Savino Fornasari) prendono le distanze e il Battaglione Cantarana, complici i disconoscimenti trasversali e la repressione, non emerge più nella documentazione come una organizzazione chiaramente riconoscibile. Sicuramente nuclei di Arditi continuano a essere presenti nel quartiere rosso, dove spesso le incursioni dei fascisti si risolvono in risse e sparatorie. L’episodio più drammatico è del marzo 1922, quando nel corso di un’azione contro la cooperativa di via Taverna viene ucciso il giovane ardito Gaetano Lupi. L’arditismo continua a sopravvivere fino all’11 giugno 1922 quando un gruppo di fascisti, che aveva appena compiuto un assalto alla cooperativa di Camposanto Vecchio, viene fronteggiato sulle rive del Po da due copiose squadre di Arditi, guidati da Emilio Canzi. Il fascista Antonio Maserati viene ucciso a coltellate. Il Battaglione crolla, sotto i colpi della forza pubblica e del fascismo locale.
1 commento su “SL28 – Trekking urbano degli Arditi del popolo”
Simona
Che belle e che tristi le relazioni di questi racconti.
Grazie del vs lavoro
Che belle e che tristi le relazioni di questi racconti.
Grazie del vs lavoro
Simona e Vincenzo Pomo