SL 26 – Piazza Cavalli – Quinta tappa

Testi di Letizia Bravi
liberamente ispirati a fatti realmente accaduti e a persone realmente esistite.

Che sogno che ho fatto…Son tutta scombussolata.

Sognavo che c’era il sole.
Dopo queste giornate di pioggia e paura e bombardamenti, finalmente il tepore della primavera…

Da casa mia, mi pare di vedere in via Borghetto un gruppo di partigiani: sono al settimo cielo, discorrono degli obiettivi assegnati, del Gotico, dei Cavalli, di certe trattorie… Si sa, dicono, la fame e la sete sofferta in montagna è stata parecchia!
Dopo, il silenzio più assoluto.

Non uno sparo, non un movimento… Tutto è immobile.

Tutti, nel sogno, stiamo aspettando… Chi da giorni, chi da mesi, anni… Di poter riabbracciare la madre, il padre, la moglie, il marito, i figli.

Io rimango in casa fino a che non suonano le campane, prima quelle del Gotico, poi del Duomo e infine tutte le campane della città. A quel suono, tutti ci commuoviamo profondamente. Di casa in casa, inizia a spargersi la voce: “È finita, è finita”. Fino a che quel sussurro non diventa grido di gioia.
E ci riversiamo in strada.
A questo punto del sogno non ci capisco più nulla, un trambusto, una baraonda…
Mi sento come ubriaca.
La gente è ormai ovunque, la piazza esplode nei festeggiamenti!

In Piazza Cavalli arrivano i partigiani, inizialmente paiono spiritati, inebetiti e increduli anche loro.
Hanno le facce scavate, stanche, ma gli occhi lucidi, vivi. Degli occhi così io non li ho visti mai.
A poco a poco, anche loro paiono rianimarsi, le guance riacquistano colore.
Si abbracciano e si chiamano con dei soprannomi: Cicala, Baffo, Janosic, Ben Hur, Fanfulla, Pastasciutta, Rigoletto, Romeo, Torno Subito, Cecov, Furia, Gatto, Tempesta, Cucciolo, Lenin, Tartaruga…
Io a tutti lancio dei fiori, e anche le mie amiche, e mi pare di vedere… sì, Renato… Cravedi: prende un fiore e lo mette nella canna del fucile. Alcune baciano con grande ardore quei ragazzi stanchi e barbuti…C’è chi corre, chi grida. Chi beve! E come beve! Ci si passa le bottiglie l’un l’altro, persino io bevo un goccetto o due…
Siamo un fiume in piena, come il Po quando straripa…

E la corrente mica riesci a fermarla. Ad un certo punto, davanti alla Banca nazionale del lavoro, un gruppo di persone circonda un ragazzetto di diciassette anni, in camicia nera, lo spingono, lo trascinano.

Gioia, dolore e rabbia si rimescolano dentro ad ognuno di noi.
Ad un tratto, sento cantare.

“Prendi il fucile e sbattilo giù per terra, vogliam la pace e non mai più la guerra!”
“Vogliamo il sindaco Tansini” fa ad un certo punto qualcuno, “vogliamo il sindaco Tansini!” E lì, lo rivedo, il sindaco che c’era prima della dittatura fascista… Mi pare di star sognando… O forse è stata tutta la dittatura un brutto sogno?
Dal balcone in piazza si affacciano il colonnello Canzi, il comandante Fausto, l’avvocato Emilio Piatti. Parlano dei caduti e da quel balcone, ricordano Don Borea, Paolo Araldi, il Ballonaio, i fucilati di Coduro, i fucilati al cimitero, il Valoroso, i quasi trecento periti nel grande rastrellamento e le altre centinaia di partigiani uccisi nell’ultimo inverno.

Ad un tratto, oh ma sto sognando sicuramente, mi è parso di vederti, Felice, stavi insieme ai tuoi amici, Giulio Cattivelli ed Emilio Mazzoni. “Giovanna? Giovanna!” Mi fai.

“Felice!” E io cerco di avvicinarmi per abbracciarti, supplico le altre donne di lasciarmi avvicinare, “vi prego, vi prego, fatemi passare, è il mio fidanzato, fatemi passare! Io Felice non l’ho ancora baciato!”
E ora Felice mio, adesso che ti vedo, mi pare di essere in un sogno, un sogno, sì, che sa di Liberazione.