SL15 – Il sentiero della Repubblica di Bobbio

L’itinerario si sviluppa su sentieri, strade forestali e tratti di strada asfaltata, è percorribile in tutti i periodi dell’anno, con lunghezza e dislivelli medi, adatto a tutte le persone abituate a camminare in natura e in buona forma fisica. Si tratta di un percorso ad anello, che inizia e si conclude nel centro storico di Bobbio (dove è possibile parcheggiare).

Nei periodi di precipitazioni intense (pioggia o neve) in alcuni tratti del percorso si possono formare depositi (fangosi o nevosi), ai quali occorre prestare molta attenzione soprattutto nei frangenti di maggior pendenza.

La segnaletica di riferimento sarà quella a stella con fondo bianco e bordo rosso del Museo della Resistenza Piacentina. Per un breve tratto al ritorno verso Bobbio si incontrano anche i segnavia della Via degli Abati, il cammino a lunga percorrenza che unisce Pavia con Pontremoli. Relativamente ai punti acqua, è presente una fontana in loc. La Valle, poco dopo la metà del percorso.

Difficoltà
Medio
Livello
Escursionistico
Lunghezza
8 km
Durata
3 ore al netto delle soste

Inizio/Fine
Bobbio (PC) - Bobbio (PC)
Dislivello salita
350 m
Dislivello discesa
350 m

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Sui passi di Italo Londei presidiando la zona libera

L’itinerario si sviluppa con un andamento lineare e prevede un tratto in salita nella prima metà e un tratto in discesa nella seconda.

Gran parte del sentiero si sviluppa su strade e sentieri aperti, che risalgono la valle del Torrente Dorbida e che permettono di mantenere sempre una preziosa prospettiva d’insieme su questo tratto di Val Trebbia.

La partenza è posta nel centro di Bobbio, in corrispondenza dell’ampio parcheggio in piazza XXV Aprile, vicino alla fermata dell’autobus. Da qui si può prendere la strada asfaltata che sale in direzione ovest e che incrocia Via Garibaldi, che si imbocca in direzione nord, uscendo dal paese.

Appena superato il ponte sul Torrente Dorbida, si segue l’indicazione a sinistra per Lagobisione e si sale prosegue tenendo la strada asfaltata, fino a prendere il bivio per le Rocche.

Da qui in avanti si tiene la viabilità principale, che diviene via via una strada forestale, superando gli abitati di Balzago e le Rocche, insieme con alcune case sparse disseminate sul percorso come tasselli nascosti di un mosaico composto principalmente da calanchi, pascoli, timidi vitigni e radi tratti boscati.

Si sale in maniera omogenea, accompagnati da un ampio panorama che si compone prendendo quota, fino a raggiungere la strada asfaltata che collega gli abitati di Sarmase e Pegni con la strada statale SS461 che sale verso il Monte Penice.

Qui possiamo decidere di muoverci avanti e indietro su questa costa sempre illuminata dal sole, spostandosi tra rinnovati pascoli e architetture rurali di pregio in pietra lavorata, oppure proseguire sulla via del ritorno, prendendo la strada asfaltata in direzione ovest, che viaggia leggera tra i calanchi fino ad arrivare in loc. La Valle.

Camminando possiamo ammirare tutta la valle che si apre verso sud, in direzione mare e Liguria, avendo sempre visibili l’immediato comprensorio del Bosco del Comune a dominare la città da sud, il Monte Penice a ovest, i lontani monti Lesima e Alfeo a sud-ovest e tante delle cime che corrono sul crinale che separa la Val Trebbia da Val Perino e Val Nure a est. Si percorre un brevissimo tratto di SS461 verso valle e si imbocca subito il sentiero a sinistra che ci porterà a raggiungere il centro di Bobbio passando per la vecchia Strada di Squera e contrassegnato oggi dai segnavia della Via degli Abati.

Scendendo tra piccole case dimenticate e camminando talvolta sulla cresta dei calanchi, si arriva in poco tempo alle porte della città, entrando dal quartiere residenziale di Maiolo. Scendendo verso il centro storico si raggiunge il castello Malaspina e, in un batter d’occhio, ci si ritrova immersi nelle note medievali del borgo, tra mulini nascosti e piccole contrade. Scendendo Strada del Roso, si prende per Via S. Giuseppe verso la Contrada dell’Ospedale, poi la piccola Contrada di S. Nicola e poi Contrada di Borgoratto fino in Piazzetta S. Chiara, dove, sulla facciata del palazzo comunale, troviamo una targa che ricorda lo sforzo profuso dalla Resistenza e celebra il canto di libertà che segnò la via verso la Liberazione dal nazifascismo. Da qui si può tenere direzione nord e tornare verso il parcheggio, passando per le centralissime Piazza Duomo, Contrada di Porta Nuova e Piazza S. Francesco, cuori pulsanti del centro bobbiese.

Repubbliche partigiane o zone libere?

«Alba la presero in duemila il 10 ottobre e la persero in duecento il 2 novembre dell’anno 1944». L’incipit di I ventitré giorni della città di Alba di Beppe Fenoglio descrive bene le aspettative e le disillusioni che ruotano intorno alla vicenda delle repubbliche partigiane.  La Resistenza nasce come movimento di guerriglia, che colpisce e scompare, senza una base stabile o un territorio da presidiare. Però, nella primavera del 1944 i partigiani compiono un salto di qualità. Le brigate si ingrossano, grazie all’afflusso di tante nuove reclute, complici la bella stagione che rende più facile la vita del ribelle e i martellanti bandi di chiamata alle armi della Repubblica sociale italiana. Inoltre, i comandi tedeschi, impegnati dell’offensiva alleata sulla linea del fronte, scelgono di disimpegnare truppe, e in molte zone periferiche lasciano soli i fascisti. Le forze armate della Rsi, decimate dalle diserzioni e incalzate dalle puntate partigiane, si rivelano presto inadeguate nel mantenere il controllo del territorio. Sulle colline e le montagne di tutta l’Italia settentrionale interi paesi e vallate vengono liberati in combattimento, o lasciati liberi dai fascisti che si ritirano nelle città. Da guerriglieri, i resistenti si trovano quindi alle prese con ampie zone libere da controllare e da amministrare. In Friuli, nelle valli alpine del Piemonte, nelle Langhe, sull’Appennino emiliano, nell’Oltrepò pavese, sui monti della Liguria, nelle valli bresciane, si respira una nuova esaltante aria di libertà. Nelle zone libere si stampano giornali e volantini, si riaprono le scuole e si elaborano nuovi programmi scolastici liberi dalla propaganda fascista, si discutono i futuri assetti dell’Italia democratica. In alcune “repubbliche”, come l’Ossola e Montefiorino, si svolgono consultazioni elettorali, oppure si nominano giunte provvisorie formate dai rappresentanti dei diversi partiti e dalle persone più istruite. Certo non si tratta ancora di vere e proprie elezioni, pressoché ovunque le donne sono escluse, ma si tratta comunque di un primo laboratorio di democrazia e partecipazione popolare, che suscita grandi entusiasmi e speranze. La scelta, rischiosa e per certi versi illogica, di conquistare e difendere interi territori, nasce dall’aspettativa che la fine della guerra sia ormai alle porte. Incoraggiati dai comandi alleati, i partigiani nelle zone libere predispongono piani per l’insurrezione e preparano la discesa in città. Tristemente, la cessazione dell’offensiva angloamericana sulla Linea Gotica spegne presto ogni illusione. Investite da imponenti rastrellamenti nazifascisti, nell’inverno 1944 le zone libere cadono a una a una. Alla rotta delle formazioni si unisce il dramma dei civili, accusati di avere spalleggiato i partigiani, che subiscono ritorsioni e vedono i paesi dati alle fiamme. Negli ultimi anni gli storici e le storiche al termine repubbliche partigiane hanno preferito quello di zone libere o zone partigiane, che si ritrova più comunemente nella documentazione delle Brigate. Il termine “repubblica” per molti resistenti evocava l’odiata Repubblica fascista di Salò. Spesso, il termine “repubblica partigiana” viene usato solo nel dopoguerra, quando si cerca di dare peso e risalto a queste esperienze, usando toni enfatici ed entusiasti. Una scelta terminologica che non mette però in ombra le forme di democrazia sperimentate nelle zone libere, che sono belle e importanti proprio perché provvisorie, effimere e incomplete. Insomma, umane e reali.

Nata dal canto di libertà

La zona libera di Val Trebbia

«La città di Bobbio venne conquistata alle ore 7,30 del giorno 7 luglio 1944, mediante uno stratagemma. Tom, Guerci e io guadammo il fiume Trebbia, inoltrandoci risoluti con le armi in pugno in città. Io ero armato della sola pistola e Tom di bombe a mano: tutto qui il nostro armamento. Tuttavia, ci apprestammo ad attaccare un centinaio di nemici, asserragliati ed armatissimi». Così Italo Londei, comandante della 7a Brigata racconta l’azzardo da cui nasce la Repubblica di Bobbio. Come in molti altri casi, non c’è alcun combattimento: un piccolo gruppo di intraprendenti si muove tra le vie del paese, avvisando tutti di nascondersi, perché una grossa brigata partigiana (e una grossa battaglia) si avvicinano. Tanto basta alle truppe fasciste, ormai decimate dalle diserzioni, per darsi alla fuga. Bobbio diventa così la capitale di un’ampia zona libera, che si estende dalla media Val Trebbia fino alla Val d’Aveto, e nel Genovese. Un territorio tanto grande che viene diviso in due da un confine ideale all’altezza di San Salvatore. La zona A è controllata dalle formazioni piacentine di Giustizia e Libertà mentre la zona B dai garibaldini liguri di Bisagno.

Bobbio non è l’unico né il primo comune piacentino liberato in quell’estate. Analoghe zone libere nascono in Val d’Arda, occupata dalle formazioni di Prati da Castell’Arquato in su, in Val Tidone, e anche in Val Nure, dove Bettola diventa capitale partigiana e sede del Cln.

La Resistenza arriva insomma a controllare i ¾ della provincia e conquista importanti centri di fondovalle. I comandi fascisti scrivono preoccupati ai propri uomini di non uscire dai confini della città se non in convogli armati, per non cadere facili prede delle squadre partigiane che si aggirano libere tra la montagna e la prima pianura. Nei centri principali vengono nominate giunte provvisorie composte dalle persone più “studiate” e non troppo compromesse con il fascismo. In molti casi i funzionari comunali vengono lasciati al loro posto, a patto di accettare di collaborare con i Comitati di Liberazione. Per coordinare l’amministrazione di tutti i comuni liberati, il Comando Unico nomina due commissari civili: Mario Beretta di Pianello Val Tidone, al quale sono affidati i comuni delle valli occidentali, e il democristiano Carlo Cerri “Luigi Giorgi”, che guida le zone libere orientali.

Sono tante le memorabili esperienze di libertà di quell’estate. A Bettola, Emilio Canzi pronuncia un bel discorso per la riapertura delle scuole che si augura possano sempre essere «improntate a uno spirito di umanità». A Bobbio, Bianca Ceva, una delle maggiori esponenti del Partito d’Azione, scrive indimenticabili articoli sul giornale partigiano Il grido del popolo, spiegando in maniera semplice e appassionata a contadini e valligiani gli ideali di giustizia e libertà che animano l’antifascismo. Deve ancora firmarli con un nome maschile per essere ascoltata, ma questo non le impedisce di portare, come lei stessa scrive, «alle popolazioni della zona fino a Piacenza la voce della libertà e del coraggio».

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