SL 26 – Prefettura – Settima ed ultima tappa
Testi di Letizia Bravi
liberamente ispirati a fatti realmente accaduti e a persone realmente esistite.
Buongiorno, cari elettori… e care elettrici.
Sono Medarda, detta Medina, Barbattini e oggi sono qui per votare ma anche per candidarmi come membro del consiglio comunale, con il Partito Comunista Italiano, per mettermi al servizio della città, del Paese.
Solo un anno fa, tutto questo si sarebbe detto un sogno.
Solo un anno fa, non ero ancora rimpatriata. Non ero ancora tornata dalla mia bambina, dall’Italia.
I fascisti mi arrestarono il 28 agosto 1944 per le mie attività staffetta e partigiana. All’Ufficio Politico Investigativo, fui interrogata e torturata dal capitano Zanoni stesso. Dichiarai di essere antifascista e che non avrei tradito i compagni per nulla al mondo. Fissavo senza fiato le «sette lingue» ossia una frusta di cuoio bagnata intervallata da sette nodi già nelle mani dei miei torturatori.
Colpi dolorisissimi, come scosse elettriche. Mi colpirono e sfigurarono la faccia.
L’unica volta che aprii la bocca fu per inveire e domandare a Zanoni: «Se lei avesse una figlia ridotta così, cosa farebbe?». Rispose: «La ucciderei con le mie mani».
Fui rinchiusa nel carcere di Piacenza, poi a Parma, da lì a Bolzano, poi, era il 6 ottobre 1944, le SS ci caricarono su dei carri bestiame. Arrivammo ad un campo sormontato da una scritta: Fraunen Konzentrazion Lager Ravensbrück.
Il freddo, la fame, la sete, la stanchezza, il sonno, il lavoro forzato, gli interminabili appelli contribuivano all’annientamento della personalità. E poi … la paura delle punizioni, pressoché quotidiane, il trasporto nero, le camere a gas, il revier, dove venivano portate alcune per fare da cavie umane per esperimenti di vario genere. Eppure si sperava sempre e gli episodi di solidarietà e gli atti di coraggio furono innumerevoli fra le deportate politiche.
Quando le cose si misero male per i nazisti, ci fecero marciare lungamente al freddo, senza viveri né riposo in zone disabitate e bombardate, la marcia della morte.
Rividi Piacenza il 28 agosto 1945; esattamente un anno dopo il mio arresto.
La madrepatria. Quante volte abbiamo sentito questo termine usato così impropriamente in questi ultimi anni…
Oggi, in questo momento destinato a segnare la storia della nostra nazione, in cui anche le donne, finora escluse dalla vita partecipativa e governativa del Paese, possono invece godere dello stesso diritto da sempre goduto dagli uomini, oggi, dicevo, vorrei ribaltare la prospettiva. Poiché abbiamo imparato dopo anni di brutale dittatura che ogni cosa vuole anche il suo opposto, così come non vi è fascismo senza resistenza.
Si guarda sempre alla Patria come ad una madre amorevole di cui noi siamo figli, e figlie, e questo è senz’altro vero ma è una visione parziale.
Così come è vero che l’Italia non è composta solo dal genere maschile, bensì anche da quello femminile. Ebbene, è con lo stesso sguardo ampio, allargato che dobbiamo cominciare a pensare alla Patria non solo come ad una madre ma anche come figlia.
Nata nel 1861, nonostante gli anni, ben ottantacinque, è ancora piccola e tenera e urge del nostro sguardo severo e compassionevole per essere guidata.
Vorrei, insomma, che pensassimo all’Italia e che ci dedicassimo ad essa con la stessa cura, attenzione, devozione con cui guardiamo ai nostri bambini e alle nostre bambine e ci occupiamo della loro educazione.
La nazione è un grande parto collettivo, potremmo dire.
Il governo, frutto del pensiero di una maggioranza di persone.
Ebbene, se negli anni bui appena passati, questo pensiero è stato un pensiero di morte che ha generato un aborto di patria, che questo possa essere di rinascita, e ci permetta di prendere per mano la bambina Italia e accompagnarla, finché potremo e la vita ce lo permetterà, nel suo cammino. Perché l’Italia tutta capisca che si possa sì perdonare, ma non dimenticare, e perché sempre vigili affinché gli errori che portarono alle recenti atrocità non debbano mai più ripetersi.
E quando sarà giunta la nostra ora, altri figli, figlie, nipoti, la guideranno con passo sicuro e mano amorevole, così come noi oggi, 10 marzo 1946.
Ah, alle signore ricordo: prestate attenzione a che non si lasci traccia di rossetto sulla scheda elettorale.